5. MEMORIE

 

  A Girgenti, da cui si allontana fisicamente ben presto, lo scrittore ritorna sempre con la memoria e con le sue opere. Nei luoghi percorsi da Pirandello, da Girgenti a Roma, c’è il suo passato ed il suo presente. Un passato fatto di ideali traditi, di miserie e di abbandono, un presente con l’amara consapevolezza che la vita, come la storia, è un’illusione. 

 

A Girgenti l’autore passò l’infanzia e l’adolescenza e, fino ai primi anni del matrimonio, vi tornava ad ogni estate; poi più raramente. E ad ogni ritorno la sua fantasia “si inzuppava dei fatti grotteschi e pietosi che vi accadevano e che familiari ed amici gli raccontava no: e andavano ad infoltire, ad affollare, quelli che nella sua memoria prepotentemente vivevano” (L.Sciascia). I vecchi e i giovani, che Sciascia definì “il più autobiografico dei suoi romanzi”, si nutre prepotentemente delle memorie personali dell’autore,  le quali si intrecciano con  la storia della Sicilia e dell’Italia di fine ‘800. Nel romanzo, infatti, molti personaggi sono facilmente individuabili in persone  reali vicine a Pirandello o significative nella  storia locale e nazionale  dell’epoca. Forniamo solo qualche esempio: i personaggi di Roberto Auriti, Flaminio Salvo, Antonio Del Re, sono identificabili rispettivamente con  Rocco Ricci Gramitto (zio dell’autore), Don Calogero Portulano (suo suocero) e con Pirandello stesso; Caterina Laurentano  e Stefano Auriti  ereditano  il nome  (e non solo) della madre e del padre dell’autore; e poi ancora Stefano D’Atri è identificabile con Francesco Crispi,  Spiridione  Covatta con  Napoleone Colajanni, Nocio Pigna con Rodolfo Adriano; infine mons. Pompeo Spoto non è altri che mons. Pompeo Agrò, mentre Gaetano Blandini diviene nel romanzo il vescovo Montoro.

Per cogliere meglio  il nesso tra  biografia e romanzo può essere utile la lettura di qualche passo tratto da Biografia del figlio cambiato di Andrea Camilleri: Stefano Pirandello, “Appena Garibaldi arrivò in Sicilia, corse ad arruolarsi tra i volontari garibaldini. Si fece tutte le battaglie…meritandosi, venticinquenne, fama d’eroe…si arruolò stabilmente e seguì il generale fino al Volturno. Due anni appresso era nuovamente al suo fianco ad Aspromonte. Ma non volle farsi pigliare prigioniero e preferì tornarsene in Sicilia. Il suo compagno d’armi e amico (un’amicizia nata nel corso delle imprese garibaldine) Rocco Ricci Gramitto, girgentano, preferì invece, ad Aspromonte,  consegnarsi alle truppe regie. Lo portarono a San benigno, dove scontò 6 mesi di carcere. Rocco era il futuro cognato di Stefano” fratello di Caterina, futura madre di Pirandello. “I Ricci Gramitto costituivano certamente la famiglia più antiborbonica del girgentano. Giovanni Ricci Gramitto era stato un valente avvocato, uno degli organizzatori dei moti del ’48 palermitano, separatista, ministro del Governo di Ruggiero Settimo. Quando il re di Napoli ripigliò il potere, Giovanni Ricci Gramitto fu escluso dall’amnistia e iscritto nelle liste di proscrizione, con l’approvazione personale del sovrano. Dovette scappare a  Malta, spogliato di tutto.” Aveva 7 figli, tra cui Caterina, ancora tredicenne. Quando la famiglia rientra in Sicilia, alla morte di Giovanni, Francesco e Rocco, diventano avvocati, “si intruppano nelle bande di Rosolino Pilo e poi seguirono Garibaldi. Ad Aspromonte Rocco, che era luogotenente di Garibaldi, raccolse lo stivale insanguinato del suo Generale e se lo portò a Girgenti. Ne fece dono a Luigi Pirandello che a sua volta lo consegnò al Municipio di Roma. Rocco, finalmente liberato agli inizi d’ottobre 1862, tornò a Girgenti e venne accolto trionfalmente. In quella occasione Rocco e Stefano si ritrovarono dopo Aspromonte e fu così che Caterina Ricci Gramitto e Stefano Pirandello si videro per la prima volta. Scrive il nipote Stefano nel 1936: “Lui bello e lei no, tranne gli occhi. E poi, ormai a 28 anni si considerava già una vecchia zitella; la gioventù l’aveva data alla Patria. Quando Stefano, seduta stante, chiese la sua mano, (Caterina) credeva che scherzasse. Fu un matrimonio patriottico” (op. cit. ).

 Le notizie biografiche riportate da Camilleri possono farci facilmente intuire come la fantasia  del giovane Pirandello dovette nutrirsi dei racconti ascoltati in casa su episodi del nostro risorgimento cui, con slancio patriottico, avevano partecipato i suoi familiari; ma, soprattutto, possiamo comprendere come amara dovette essere la delusione per il fallimento di quegli ideali che erano naufragati nel degrado morale e nella corruzione di cui lo scandalo della Banca   romana diventa emblema. Durante una visita allo zio Rocco a Roma (Roberto Auriti nel romanzo)  Pirandello ebbe modo di avvertire che il fallimento vissuto dagli uomini del suo tempo era esistenziale oltre che politico: “Rocco Ricci Gramitto ora era un ultracinquantino consigliere di prefettura che non aveva gana di fare più niente se non starsene tra i suoi pappagalli e le sue scimmiette…la sua indolenza, il suo passivo abbandonarsi allo scorrere del tempo, il suo fallimento insomma non solo mettevano malinconia a Luigi, lo facevano macari riflettere sui rischi e gli effetti della caduta delle illusioni, non solamente politiche”. Dello zio, sotto il nome di Roberto Auriti,  egli farà uno dei protagonisti del romanzo I vecchi e i giovani, “un eroe schifato dalla corruzione, dalla baraonda oscena dei tanti che vi s’abbuffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori” (op. cit.  ).