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3. LA GIRGENTI DI FINE
OTTOCENTO NE I VECCHI E I GIOVANI.
La Girgenti descritta da Pirandello è quella
post-risorgimentale, oppressa dalla mancanza d’acqua, dalla
mafia, dall’arruolamento obbligatorio, dalla prepotenza dei
padroni esercitata sui contadini e sugli zolfatari; Girgenti
sembra una città quasi immobile fissa nel tempo, inerte di
fronte al suo destino, ma in realtà non è così; essa sta
infatti per essere sconvolta dagli scioperi delle miniere e
dai movimenti di rivolta dei contadini.
Per quanto riguarda l’agricoltura, predominavano, infatti,
il latifondo e la coltura estensiva, tecniche poco
redditizie per i poveri contadini. Una parte dei grandi
terreni veniva coltivata dal padrone per sé, l’altra parte
veniva affittata; il fittavolo del terreno lo affittava a
sua volta ad altri che, alla fine di una lunga catena di
“fittavoli dei fittavoli”, lo davano a mezzadria a dei
miseri contadini il cui guadagno era insufficiente per
mantenersi. Nella stessa condizione si trovavano i
lavoratori delle miniere, nelle quali venivano, inoltre,
sfruttati i
“carusi”,
bambini tra i sei e i nove anni che venivano venduti per
200-250 lire ad un picconiere che li avrebbe sfruttati fino
ai diciotto anni per estrarre lo zolfo dalle miniere. I
carusi venivano considerati come proprietà privata ed era
questa una vera e propria forma di schiavitù. Adolfo Rossi,
giornalista della Tribuna Illustrata, fu testimone di un
fatto avvenuto nella zolfara di Campobello di Licata dove un
caruso, tentando di fuggire, fu acciuffato e malmenato dal
picconiere mentre gli spettatori della vicenda si limitavano
a dichiarare: “Lo può fare, è sò”. È per queste terribili
condizioni dei più poveri, che si svilupparono
spontaneamente i movimenti di rivolta dei lavoratori.
A condizionare fortemente la vita politica della città vi era anche la
Chiesa: “Lì, a Girgenti, nessuno si muoveva, né accennava di
volersi muovere! Paese morto. Tanto vero – dicevano i
maligni – che vi regnavano i corvi, cioè i preti”.
L’atteggiamento di Pirandello è giustificabile sia
storicamente, per il fatto che la Chiesa non aveva mai
voluto rinunciare al potere temporale, sia per il suo
pensiero fondamentalmente anticlericale.
Dalle
pagine del romanzo risulta che gli eventi storici di
portata nazionale avevano toccato solo marginalmente
Girgenti: Garibaldi sbarcò a Marsala senza neppure sfiorare
la provincia di Girgenti dove giunse soltanto l’eco della
storica vicenda. Cominciarono a scuotere i cittadini solo le
prime elezioni e la nascita dei Fasci, che comunque non
produsse gli entusiasmi suscitati ma in altre zone della
Sicilia. Nell’ottica pessimistica di Pirandello i contadini
e i solfatai vivevano in una sorta di estraniazione morale,
con la mente tanto offuscata dalla miseria che gli eventi
erano guardati con incredulità; il giudizio che ne dà don
Cosmo (buffonate) rivela l’ostilità dei ceti abbienti
e conservatori; mentre solo una piccolissima parte della
popolazione apprezzava il valore di quanto stava accadendo
in Italia e in Europa. I girgentani erano ormai lontanissimi
dagli antichi akragantini, apparivano stanchi e rassegnati,
incapaci di reagire, come se tutto fosse pervaso da
un’eterna noia: “sempre d’un passo, cascanti dalla noja, con
l’automatismo dei dementi…l’Akragas dei greci, l’Agrigentum
dei romani, eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il
marchio degli arabi era rimasto indelebile negli animi e nei
costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e
gelosia… L’accidia, tanto di far bene quanto di far male,
era radicata nella più profonda confidenza della sorte, nel
concetto che nulla potesse avvenire, che vano sarebbe stato
ogni sforzo per scuotere l’abbandono desolato, in cui
giacevano non soltanto gli animi, ma anche tutte le cose”.
3.1 Girgenti come Sicilia
Pirandello ci fornisce un quadro disincantato dei siciliani e della
Sicilia: da un lato vi era un’aristocrazia in decadenza,
dall’altro una ricca e spregiudicata borghesia sul punto di
assorbire la classe aristocratica. La vera protagonista
dell’economia era dunque la borghesia, avida e senza
scrupoli; poi la massa dei lavoratori in condizioni di
estrema miseria. È chiaro, quindi, che sui siciliani,
Pirandello vede gravare un senso di stanchezza e di
svuotamento, di senilità interiore, di oblio che ha generato
nei siciliani un latente torpore, “desiderio di immobilità”
(Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo).
La Sicilia di Pirandello è pervasa di un’accidia storica, spiegata cioè
storicamente con le molte sciagure, le infinite disgrazie
derivanti dalle occupazioni straniere, la provata
impossibilità della ribellione e infine la stessa condizione
climatica del paese (tirata ironicamente in ballo) che
spinge i siciliani a “voler essere ombre. O inetti, o
sfiduciati o servili. La colpa è un po’ del sole. Il sole ci
addormenta finanche le parole in bocca!”
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