2.    LA STORIA NEL ROMANZO

 

Ne I vecchi e i giovani Luigi Pirandello rivela una profonda coscienza  storica che si fonda sulla riflessione sui “perché” eterni della vita. Egli vive tra Roma e la Sicilia, la prima infangata dalla corruzione, la seconda trattata come terra di conquista, a contatto con la mediocre cultura borghese dell’Italia post-risorgimentale; in questo contesto matura la sua visione pessimistica della realtà, che gli appare come frattura tra passato e presente, come risulta chiaro dal romanzo  nel quale due generazioni a confronto misurano i reciproci fallimenti: i vecchi  responsabili di non aver sostenuto un rinnovamento civile, i giovani che subiscono passivamente la loro squallida eredità.

Il romanzo si articola in tre parti fondamentali: la prima e la terza ambientate a Girgenti, mentre la seconda a Roma. Tutto si muove intorno alle vicende politiche delle elezioni del ’93; su questo sfondo politico la commedia volge al dramma, in particolare a Girgenti.

L’opera è ancora molto vicina al romanzo naturalistico, ma la sua forma predominante è quella di romanzo storico che presenta gli avvenimenti storico-politici della Sicilia e dell’Italia del 1892-93. Ci sembra pertanto utile ricordare antefatti ed eventi contemporanei alla vicenda narrata.

 

2.1   Premesse storiche

1860 – 1879: Sono gli anni in cui la giovane Italia unificata deve affrontare gravi problemi (questione romana, questione meridionale, ecc…). Il Sessanta segna, inoltre, la svolta storica della Sicilia, brevemente rievocata nel romanzo. Racconta Mauro Mortara: “poi sentii che Garibaldi era sbarcato a Marsala; volai subito in Sicilia; raggiungo i volontari a Milazzo”.

E donna Caterina ricorda il marito: “Stefano Auriti partito col figliuolo appena dodicenne da Quarto con Garibaldi per la liberazione della Sicilia…caduto nella battaglia campale di Milazzo”.

Questo figlio allora dodicenne, Roberto, lasciò gli studi per seguire Garibaldi mentre la “ragion di Stato aveva opposto ad Aspromonte un argine di petti fraterni; e Roberto, con gli altri, era preso e imprigionato, prima a La Spezia, poi al forte Monteratti a Genova. Liberato aveva ripreso gli studi, per poco. Nel 1866 con Garibaldi, di nuovo”.

Ma pochi erano i patrioti agrigentini pronti a combattere: “Rosario Trigona a Girgenti era uscito solo con altri quattro compagni, la bandiera tricolore in una mano e uno sciabolane nell’altra, incontro ai tremila uomini del presidio borbonico”.

La Sicilia era ormai divenuta protagonista del processo unitario e molti erano i Siciliani che si esaltavano, come Mauro Mortara: “Se non era per la Sicilia…Se la Sicilia non voleva…La Sicilia si mosse e disse all’Italia: eccomi qua! Vengo a te! Muoviti tu dal Piemonte col tuo Re, io vengo di qua con Garibaldi e tutti e due ci uniremo a Roma! Oh Mariasantissima, lo so: Aspromonte, ragion di Stato, lo so! Ma la Sicilia voleva far prima, di qua…” Ma la delusione arrivò molto presto e Caterina Laurentano, moglie di Stefano e madre di Roberto Auriti, osserva nauseata il tramonto di tutte le speranze: “qual rovinìo era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, con cui s’era accesa la rivolta! Povera isola trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari che bisognava incivilire! Ed eran calati i Continentali a incivilirli: calate le soldatesche nuove, quella colonna infame comandata da un rinnegato […] calati gli scarti della burocrazia; e liti e duelli e scene selvagge; e la prefettura del Medici, e i tribunali militari, e i furti, gli assassini, le grassazioni, orditi ad eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo; e falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi ignominiosi; tutto il primo governo della Destra parlamentare…”

 

 

1876 – 1886: Viene inviata la commissione Franchetti – Sonnino che porta a termine un’inchiesta sui contadini meridionali e sull’insostenibile situazione sociale siciliana; dalle prime analisi sulla questione meridionale risultò evidente una mancanza di concezione etica dello stato, difetto storico delle classi dirigenti del Sud. Le cose non migliorarono con l’avvento al potere della sinistra con Depretis, il cui “trasformismo” parlamentare riuscì a dare una certa stabilità al Paese, senza però risolvere i più gravi problemi sociali: “aveva cominciato anch’essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero di denaro pubblico; prefetti, delegati, magistrati messi al servizio dei deputati ministeriali, e clientele spudorate e brogli elettorali; spese pazze, cortigianerie degradanti; l’oppressione dei vinti e dei lavoratori, assistita e protetta dalla legge e assicurata l’impunità agli oppressori…” .

A tale riguardo lo storico Volpe definisce la Sinistra di quegli anni come un governo che visse di opportunismo e di un moltiplicarsi di clientele, con i deputati  ridotti a poco più che  agenti d’affari del proprio gruppo elettorale (G.Volpe, L’Italia in cammino).

Intanto il Governo Crispi promuoveva una politica protezionistica, in nome di un’alleanza tra gli industriali del nord e gli agrari del Sud, che danneggiò gravemente il meridione provocando la crisi dello zolfo, confermando le impressioni generali di abbandono e di tradimento degli interessi del Sud in favore dell’Italia del Nord, mentre l’insensata guerra doganale con la Francia comprometteva gravemente l’agricoltura del Mezzogiorno: “andate loro a far capire che la politica doganale seguita dal governo italiano è stata tutta una cuccagna per l’industria e gli industriali dell’alta Italia e una rovina spaventosa per il Mezzogiorno e per la nostra povera isola; che da anni e anni l’aumento delle tasse e di tutti i prezzi è continuo e continuo è il ribasso dei prodotti; che col prezzo a cui è disceso lo zolfo non solo è assolutamente impossibile trattarli meglio, ma è addirittura una follia seguitar l’industria…” .

 

1887 – 1891: Al Governo è primo ministro Francesco Crispi; sono gli anni in cui nelle maggiori città italiane si costituiscono le prime Camere del lavoro. Nel 1889 vengono fondati a Messina i Fasci dei lavoratori Siciliani, che si estenderanno poi a Catania e a Palermo. Il movimento dei Fasci,  cui aderirono  contadini, zolfatai, operai, impiegati ed artigiani, ebbe carattere del tutto spontaneo di ispirazione democratica e socialista (“Alla chiesa avevano sostituito il Fascio; e aspettavano da questo i miracoli impetrati invano da quella. Ma il fanatismo era al colmo”). Esso fu un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti e di protesta nei confronti dei proprietari terrieri siciliani: non si poneva una prospettiva rivoluzionaria, piuttosto si prefiggeva un programma dettagliato di scioperi  che chiedevano  riforme fiscali ed una più radicale riforma agraria che permettesse la redistribuzione delle terre. 

 

2.2 Eventi contemporanei alla vicenda del romanzo

1892 – 1893: È il periodo del governo Giolitti e, mentre aumentano le agitazioni popolari in Sicilia, avviene lo scandalo della Banca Romana, emblema del degrado  morale del ceto politico in Italia: “lo scandalo romano era come una voragine di fuoco aperta davanti al Parlamento nazionale: a una a una, uscendo di là, le putride carcasse del vecchio patriottismo vi sarebbero precipitate; e quel fuoco, divorandole, avrebbe purificato la patria. Lo spettacolo era allegro nella sua oscena terribilità.”  Intanto il Governo “era sprofondato… fino alla gola nel pantano dello scandalo bancario  fiducioso qua in Sicilia nella sua polizia inetta o arrogante e soverchiatrice, senza darsi cura dei mali che da tanti  anni affliggevano l’isola, senza rispetto né per la legge né per le pubbliche libertà…”.

Il culmine del movimento dei Fasci fu raggiunto nell’autunno del 1893 quando furono organizzati scioperi in tutta l’isola che avrebbero ottenuto anche buoni risultati se, per ordine di Giolitti, non fossero stati repressi nel sangue: morirono 85 contadini che partecipavano agli scioperi. E’ grande il dissenso degli storici nel giudicare l’opera di Giolitti e tra i suoi più severi critici c’è il Salvemini, che lo definì il “ministro della mala vita”, secondo il quale, non potendo ottenere una maggioranza parlamentare nell’Italia settentrionale, dove esisteva una maturità politica notevole, Giolitti riuscì ad assicurarsela nel sud politicamente arretrato e facile alla corruzione (G. Salvemini, Il Ministro della mala vita).

1894: A Girgenti arrivava solo l’eco del fervore rivoluzionario che si estingueva alle porte della città, anche se la sezione dei Fasci era sorta anche lì: “con tutti i sagramenti… per l’onore del paese… perché non si dicesse che Girgenti sola, quando tutta l’isola era in fermento, restasse muta e come sorda”. E contava circa ottocento iscritti ma erano “nomi soltanto… Il fascio di Girgenti… Buffonate”. A Girgenti più tardi cominciò a correre voce che “per l’imperversare ovunque della bufera, fosse imminente se non di già avvenuta la proclamazione dello stato d’assedio in tutta la Sicilia. Si faceva anzi  il nome di un generale dell’esercito, nominato commissario straordinario con pieni poteri; quello stesso che, da alcuni giorni, era sbarcato a Palermo con un intero corpo d’armata. Si diceva che per prima cosa costui aveva fatto arrestare i membri del comitato centrale dei Fasci, i quali la sera avanti avevano lanciato un proclama rivoluzionario ai lavoratori dell’isola.”  Le voci corrispondevano alla verità:  il 4 gennaio 1894 il secondo governo Crispi proclamò lo stato d’assedio in Sicilia per reprimere la rivolta e processare in direttissima i dirigenti dei Fasci, ma il popolo non sembrava affatto intimorito, tanto che: “nonostante la proclamazione dello stato d’assedio, alla Favara tutti i socii del Fascio disciolto, nelle prime ore della sera, s’erano dati convegno sulla piazza e avevano assaltato e incendiato il municipio, il casino dei nobili, i caselli del dazio… gli incendi e le sommosse duravano… e c’erano parecchi morti e feriti”.